Verso la metà di gennaio del 1910 c'era, per la Sacra Famiglia, una bella festa nell'omonimo istituto di Fratta Polesine e Don Guanella si era seduto a mensa con una decina di sacerdoti e altri laici conversando amabilmente.

Suor Rosalia Pisoni aveva preparato un bel pranzo che iniziò con un abbondante antipasto, poi vennero degli ottimi ravioli, un bel piatto di manzo brasato e un contorno di patatine arrosto con l'insalata.

Quando Suor Rosalia giunse con un gran vassoio di pollo arrosto, Don Guanella non lo fece neppure posare sulla tavola e disse:

— Questo lo porterete subito ai nostri malati nell'infermeria!

Era chiamata infermeria una corsia dove una quindicina di malati vivevano insieme da anni, non potendo lasciare il letto.

La suora restò un po' indecisa, anche perché i convitati, credendo che Don Guanella scherzasse, facevano cenno d'essere di tutt'altro avviso e cercavano di scongiurare quell'inopportuno dirottamento.

Don Guanella però non scherzava, anzi disse:

— Siccome avete esitato nell'ubbidienza, per penitenza prima di sera direte un Miserere.

La suora se ne andò col suo carico e poco dopo ricomparve con una bella torta e Don Guanella subito dispose:

— Anche questa la porterete a far compagnia al pollo e reciterete un secondo Miserere.

La stessa cosa accadde per la frutta e i Miserere salirono a tre.

Alla fine Suor Rosalia ricomparve esitante col caffè, ma questa volta l'offerta fu accettata, anzi, fu corretto con un goccio di grappa e accompagnato con un bicchiere di vino vecchio.

Suor Rosalia comprese, insieme agl'invitati, che un buon pranzo non è un festino e che la misura ci deve essere anche nell'abbondanza. Di buon grado poi recitò i tre Miserere.

{podcast id=9}

Un vecchio sacerdote, che per lunghi anni era stato arciprete di Villanova del Ghebbo in provincia di Rovigo, lasciata la sua parrocchia, volle finire i suoi giorni tra i Servi della Carità, pronunciando i voti.

Don Guanella l'accolse volentieri e così Monsignor Giovan Battista Baròn fece la sua professione, stabilendo poi per scritto di lasciare le sue sostanze, cinquecento lire circa dell'epoca, all'Opera Don Guanella.

Quando la cosa giunse alle orecchie dei nipoti che aspettavano a gloria quell'eredità, accusarono in tribunale Don Guanella di circonvenzione d'incapace a proprio vantaggio; anche se Monsignor Baròn era stato sì un po' malato, ma lucido di mente.

Si venne all'udienza nel tribunale di Rovigo e Don Luigi vi si recò, trovando il tempo tra le sue continue fatiche. Si sedette ad ascoltare l'atto d'accusa, l'escussione dei testi e tutte le formalità che lo interessavano poco, al punto che, data la sua stanchezza, fu preso dal sonno e dormì della grossa, quasi che quel processo non lo riguardasse.

Così le cose andarono avanti finché arrivò il momento in cui doveva parlare Lino Merlin, l'avvocato difensore, il quale si accorse che l'imputato dormiva. L'avvocato, tuttavia, cominciò la difesa e venuto alla conclusione, disse:

— Signor presidente, signori della corte e tutti quanti che assistete a questo processo, guardate, ve ne prego, il nostro imputato. Guardatelo con ammirazione e rispetto, perché questo o è il più sfrontato dei truffatori o il più tranquillo degli accusati. Egli è qui per dimostrare la sua innocenza e la dimostra senza equivoco, dormendo un sonno autentico e profondo, cominciato, come avete visto, quasi con l'inizio del processo. Come si può dormire così beatamente senza avere la coscienza a posto? Potrebbe farlo un imbroglione che sapesse d'aver fatto del male e di rischiare una pena? Questo è il sonno d'un uomo che da cinquant'anni spende la propria vita per dare sollievo alla sofferenza delle creature più misere e abbandonate: ne sono testimonianza i suoi istituti, la sua opera, la sua vita.

Ignaro del panegirico, Don Guanella se la dormiva profondamente; quando l'arringa stava volgendo al termine, l'avvocato, asciugatosi il sudore, riprese:

— Per conto mio, signor presidente, signori della corte e amici presenti, per conto mio, qui siamo davanti alla più bella prova d'innocenza che sta sopra tutte le altre: questo è il tipico, autentico, inequivocabile sonno del giusto e chiedo pertanto, per un giusto, l'assoluzione con formula piena!

Un applauso fragoroso coronò l'arringa e fece ridestare con un sobbalzo Don Guanella, il quale venne assolto con una prova inconsueta che veniva dalla Provvidenza mentre dormiva, anzi proprio perché dormiva, senza curarsi di prendere pesci.

Nel 1906 Don Bonacina si trovava a Fratta Polesine e capitò là anche Don Guanella, il quale girava continuamente per le sue case che assisteva e sorvegliava senza posa.

Verso le tre del pomeriggio, mentre i due si prendevano un po' di riposo, ecco una voce gridare:

— Al fuoco, al fuoco...

Fu un grande accorrere di volenterosi tra i quali Don Guanella che, nonostante i suoi anni, prese il comando organizzando l'opera di spegnimento. Ordinò che fosse portata quanta più acqua possibile sopra il tetto, dato che aveva preso fuoco un vecchio camino che per incuria non era stato ripulito a dovere. Siccome bruciava la fuliggine lungo la canna fumaria, bastarono alcuni secchi d'acqua per domare l'incendio. Erano tutti quanti pronti a riprendere l'operazione, nel caso si fosse rivelato qualche altro focolaio ancora acceso, quando videro arrivare, affaticato, sbuffante e borbottante uno degl'infelici, scarsi d'intelletto, ospiti della Casa di Don Guanella, da questi chiamati amabilmente "buoni figli".

Il poveretto, che era chiamato Schiacciauova, per il fatto che aveva anche i piedi dolci, volendo collaborare anche lui a spegnere l'incendio, arrancava su per le scale portando due grossi secchi colmi. Aveva ormai fatto i quasi ottanta scalini con quel peso tremendo e si stava avvicinando all'abbaino.

Don Guanella lo accolse con una carezza e molte lodi, poi, osservati i secchi si mise a ridere divertito: Schiaccianova non aveva portato acqua, ma vino per spegnere l'incendio. Infatti una suora aveva preparato due secchi pieni di vino che sarebbe servito per la cena e li aveva lasciati in cantina per prenderli più tardi; il poverino, pieno di zelo, li aveva visti e, pensando di collaborare all'operazione, li aveva portati sul tetto.

Tutti sorrisero e si complimentarono. Don Guanella disse allora a uno dei pompieri improvvisati:

—Va' giu in cucina a prendere i bicchieri, che il nostro amico ci ha portato da bere!

Essendo tutti accaldati e sudati era proprio quello che ci voleva: arrivarono i bicchieri e Don Guanella offrì a tutti da bere, complimentandosi con tutti e sopratutto con Tonino Schiacciauova che sorrideva molto soddisfatto d'aver contribuito a salvare quella Casa della Provvidenza dalle fiamme.

Don Filippo Bonacina era da poco entrato nella Colonia Agricola S. Giuseppe in via della Balduina a Roma. Gli erano stati affidati una trentina di ragazzi, tutti orfani e abbandonati che, per vivacità e altre caratteristiche, non andavano persi d'occhio un momento. Bastava lasciarli soli che volavano pugni e calci ed erano baruffe.

Quando capitava a Roma Don Guanella, nonostante avesse sessant'anni, si dedicava a fare l'assistente e aveva un suo metodo particolare che gli permetteva di cavarsela sempre in qualche modo.

Un giorno, durante la quaresima, si avvicinò a Don Filippo e gli disse:

- Vieni con me nella cappella a fare la Via Crucis?

Rispose Don Filippo:

- Verrei molto volentieri, ma se lascio soli questi diavoletti demoliranno il fabbricato...

Rispose Don Luigi:

- Asinello, hanno tutti il loro Angelo Custode che li guarda e che certamente è molto più bravo di te!

Non era possibile rispondere nulla e Don Filippo andò in cappella a fare la Via Crucis. Non erano arrivati alla terza o alla quarta stazione che dal cortile cominciò ad arrivare un baccano infernale: rumori e urla che annunciavano come presto sarebbe avvenuto il peggio.

Don Filippo, che era in ginocchio, si alzò dicendo:

- Si vede come gli Angeli Custodi stanno facendo assistenza!

Con queste parole il sacerdote balzò in cortile e, con la forza persuasiva dei suoi venticinque anni, in un batter d'occhio, rimise le cose a posto. Tornato in cappella, la Via Crucis poté essere portata a termine e Don Guanella fece notare a Don Filippo che le sue idee sugli Angeli Custodi non erano molto ortodosse.

- Ancora meno è il loro modo di fare assistenza, rispose Don Bonacina.

Allora Don Luigi sorridendo gli rispose:

- Sai, asinello, perché è capitato quel che è capitato? Perché tu martorello, hai troppa poca fede nell'Angelo Custode... Ecco perché hai dovuto fare da solo.

Giovan Battista Peruzzo, che fu poi arcivescovo di Agrigento, soleva raccontare che, quando era semplice frate passionista, fu incaricato di reperire i fondi per la costruzione d'un convento a Caravate, in provincia di Varese. Aveva avuto però ordine di non fare collette là dove c'erano benefattori di altri conventi, perché i suoi superiori non solo non volevano saperne di sovvenzioni, ma erano anche molto guardinghi dei rispettivi orticelli dove assolutamente non volevano che qualcuno andasse a raccogliere in vece loro.

Padre Peruzzo non sapeva da che parte incominciare e si recò da un suo vecchio amico che aveva costruito la chiesa del Corpus Domini a Milano, pregandolo di indicargli qualche persona disposta ad aiutare un'opera benefica.

L'amico lo guardò come se gli avesse chiesto la luna e gli disse, mettendosi il pollice della mano aperta sulla punta del naso:

— Chiappa il merlo! Se vai a mietere tu dove semino io, bella coppia facciamo! Quelli poi si mettono ad aiutare te e mi lasciano con un palmo di naso!

Padre Peruzzo, desolato e mortificato, non ebbe nulla da rispondere; sfogliando il bollettino La Divina Provvidenza che stampava Don Guanella, gli venne in mente d'andare a trovare questo sacerdote di cui aveva saputo con quanta rapidità aveva fondato tante case di accoglienza.

Lo andò a trovare e fu ricevuto con grande cordialità. Don Guanella ascoltò tutti i suoi motivi, le difficoltà, quindi lo condusse in cappella a fare una visita al Santissimo Sacramento. Lo tenne quindi a mangiare e a dormire discutendo vari aspetti dell'impresa. Finalmente quando seppe che non aveva neppure uno spicciolo per dar mano ai lavori, disse:

— Ma, Padre Peruzzo, questo è il modo migliore per iniziare un'opera: così ci fidiamo solo della Provvidenza e ci convinciamo che è Dio che fa per noi e non noi che facciamo per lui!

Don Guanella, prima di congedare Padre Peruzzo, gli fece una lista di persone generose alle quali poteva rivolgersi e l'indomani lo accompagnò in una visita presso coloro che più potevano aiutarlo e consigliarlo.

Con questo primo giro le cose cominciarono ad avviarsi bene e Padre Peruzzo, al colmo della riconoscenza, ricordando quel: Chiappa il merlo! chiese a Don Luigi se la sua richiesta non lo avesse danneggiato.

— Ma non sono io che fo un piacere a lei; è lei che fa un piacere a me! Non poteva farmi proposta migliore, perché chi crede che la Provvidenza aiuti fino a un certo limite, non crede nella Provvidenza! Per ogni benefattore che faccio trovare a lei, la Provvidenza ne manderà cento a me; o comunque quanti ne avrò bisogno... Centuplum accipietis! L'ha detto il Signore e non c'è che da credere a Lui!

Nell'asilo di Livraga, situato nella diocesi di Lodi e tenuto dalle suore guanelliane, capitò, nel tardo pomeriggio d'una rigida giornata d'inverno del 1909, Don Luigi e, dando un'occhiata intorno, s'accorse che la vita si svolgeva in un regime di grande austerità che rasentava spesso la taccagneria. Tutto derivava dalle particolari vedute della superiora, la quale pensava che risparmiare su ogni minima cosa fosse il segno della vera povertà.

Tutto questo non era condiviso dalle brave suore che assecondavano con pazienza e bontà l'opera della superiora che era, peraltro, una buona donna e veramente virtuosa. Don Guanella si mise a parlare con le suore e gli bastarono poche parole per avere la conferma dei suoi sospetti.

Poco dopo arrivò la superiora che, bonariamente, era chiamata Madre Tiene, per quella sua fissazione di tenere in serbo e conservare. Aveva fatto un po' di spesa e, dopo i convenevoli, si mise a preparare il fuoco per una fiammata nel camino. Per far questo trasse da una cassapanca un ciocchetto di legno e cominciò ad accendere alcuni fogli di carta. Don Guanella la guardava e le disse:

- Badate, badate che... un sol legno non fa fuoco!...

La suora capì l'antifona e trasse con gran dolore dalla cassapanca un altro ciocchetto di legno e continuò l'ingrato lavoro.

Don Guanella continuò a guardarla sorridendo, poi disse:

- Due ne fanno troppo poco, ma comincia ad andare già meglio!

La suora, nascondendo un sospiro, tornò alla cassapanca e tirò fuori un altro legno, il più piccolo che trovò e lo mise sugli altri due con molta pena.

Passò qualche momento ancora e Don Guanella, mentre le suore non credevano alle loro orecchie, disse sorridendo:

- Tre fan solo un focherello...

Allora Madre Tiene, che era sì un po' tirata, ma, in fondo, era buona e docile agl'insegnamenti, prese dalla cassapanca una bracciata di legna che da tempo teneva come le cose sante e la gettò eroicamente sulla fiammella che stentava ad ardere. Allora frate foco si fece vivo e canterino. Ce n'era bisogno perché la giornata era fredda, le suore stanche del lavoro desideravano un po' di ristoro: così tutti si misero felici intorno alla fiamma.

Don Guanella ridacchiava contento di quel ristoro e ammonì:

- Finalmente: alla fine d'una giornata bisogna dare anche a chi ha lavorato il giusto ristoro e il necessario nutrimento: non è il caso di privarsi di quello che è necessario per vivere. Sono altre le mortificazioni da imporsi, come quelle dell'orgoglio, della pigrizia, non di quello che serve per vivere.

{podcast id=10}

Padre Agostino Gemelli divenne frate in età matura, quando era già medico e psicologo famoso.

Dopo la sua conversione al cattolicesimo e la scoperta della sua vocazione religiosa, la vita di fede di Agostino Gemelli era spesso travagliata dall'inquietudine e dal dubbio; la sua generosità e il suo impeto di convertito lo portavano spesso sugli scogli dell'insoddisfazione e del mistero.

Il pontefice lo ricevette, l'ascoltò, comprese i suoi problemi di uomo dotto e profondo che aveva studiato e si era documentato sulla teologia leggendo molte opere di teologi; rispose anche a certe sue domande e quindi gli disse:

— Vai a presentarti a nome mio a quel prete comasco che si chiama Luigi Guanella, ripeti a lui quello che hai detto a me, confidagli le tue ansie, i tuoi dubbi, le tue incertezze e poi fai quello che lui ti dirà di fare come se te lo avessi detto io stesso.

Il Gemelli restò interdetto, poi ebbe il coraggio d'obiettare:

— Santità, so benissimo del bene che Don Guanella va facendo da anni per tanta povera gente... So quello che si dice di lui, della sua incessante attività caritativa, della sua bontà... Ma non credo che possa essere al corrente degli studi teologici più recenti, né che abbia avuto il tempo d'approfondire certi problemi che non basta una vita a impostare... Non credo proprio, Santità, che egli sia all'altezza di risolvere questi miei dubbi che hanno bisogno di ben altro che della sua buona volontà che va benissimo per le persone semplici che da anni egli assiste.

Il Papa lo guardò con molta benevolenza, poi sorridendo gli disse:

— Ma figlio mio, non hai la testa già abbastanza gonfia con questi benedetti teologi, e questi libri e questi studi? Tu ne sai già abbastanza di teologia e con altra teologia non muoverai un passo. Credi a me: tu non hai bisogno di teologi, tu hai bisogno della parola d'un santo. Don Guanella è proprio l'uomo che ti ci vuole!

Il Gemelli, sia pure sbalordito in un primo tempo, si convinse e fece quello che il Papa gli aveva indicato.

L'incontro tra i due avvenne a Milano e quello che non era riuscita a fare la teologia, riuscì a farlo la carità di Don Guanella che illuminò la mente e lo spirito travagliato del Gemelli, gli ridonò la pace e accese la luce di un'amicIzia che durò sino alla morte del Guanella.

Poco tempo dopo questo incontro i frati minori accolsero tra loro Agostino Gemelli.

{podcast id=11}