
In quest’anno «giuseppino», a 150 anni dalla proclamazione della dichiarazione di san Giuseppe quale patrono della chiesa universale, offriamo un riassunto della missione della Pia Unione del Transito di San Giuseppe, creata da San Luigi Guanella.
Sia questo il regalo che vogliamo ri-offrire alla Chiesa attuale che ricorda san Giuseppe in una ricorrenza particolare, affinché la sua intercessione sia motivo di gioia per quanti arrivano al traguardo finale ed iniziale della loro esistenza.
Si ringrazia Don Mario Carrera, il quale presentò l’intera relazione “Primaria Pia Unione del Transito di San Giuseppe” nel Convegno il cui tema era “l’arte di accompagnare all’incontro con la morte” del 25-26 gennaio 2008.
Come nasce la Pia Unione del Transito di san Giuseppe?
A Roma, don Guanella frequentava la chiesa di S. Carlo al Corso, la chiesa dei lombardi, e conosceva l’esistenza dell’Unione del Transito del patriarca San Giuseppe, eretta già dal 15 marzo 1886, dal cardinale vicario di Roma, Lucido Maria Parocchi (lombardo anch’egli, essendo originario di Mantova). Questa Unione non “bruciava” e non anticipava l’idea di don Guanella, perché come scopo si proponeva semplicemente (e individualmente) di «aver presente quel momento ultimo e meglio ripassare gli altri precedenti, per imitarne la vita, e similmente meritarsi la medesima fine». Quindi, era più sulla linea della preparazione alla buona morte che su quella della preghiera in sostegno degli agonizzanti (cf. Archivio storico del Vicariato di Roma, n. 24). Riferimenti alla “paternità guanelliana” della Pia Unione se ne possono trovare tanti. Per esempio, don Guanella accenna a: - una chiesa dedicata al Transito di San Giuseppe che impetri la buona morte ai vivi (LDP, febbraio 1909); - un tempio dedicato al Transito di San Giuseppe, significa un’impetrazione costante per ottenere la buona morte a quanti sono cristiani, significa una “caparra”, vorrei dire, una “sicurezza” di ottenere una morte santa a quanti hanno concorso ad erigere la Chiesa e non ad essi soltanto, ma altresì ai loro cari (LDP, febbraio 1909); - «Si potrebbe anche fare un foglietto (ecco il seme della Santa Crociata) svegliarino che dicesse taluna delle tante cose che restano a dirsi su Pio X, San Giuseppe, della buona morte, del disastro passato, del suffragio a quelle povere vittime del terremoto!»: sempre nel febbraio 1909, don Guanella sosteneva l’opportunità di un bollettino che sensibilizzasse su questa tematica (doc. 5); - «D’altronde invocando il gran Santo venerato dalla Vergine, anzi dallo stesso Gesù Verbo incarnato, intendiamo stringere vieppiù le case nostre, le nostre persone e i nostri interessi in una santa corrispondenza di affetti col Santo Patriarca, ed invocarlo protettore per il momento estremo che tutti ci attende», scriveva don Guanella (LDP, marzo 1909). Un riscontro più esplicito è dell’ottobre 1909, quando Maddalena Albini Crosta, collaboratrice di don Guanella, scrive: «Così erigendo il nuovo tempio in Roma e dedicandolo a San Giuseppe, vi si inaugurerà una divozione tutta speciale per il Transito glorioso dello Sposo della Vergine, padre putativo del Verbo umanato e per le care anime purganti. [...] Per ora non possiamo ancora dir tutto, ma è certo che nella chiesa di Roma vi sarà un’opera di suffragio perpetuo per i benefattori della divina Provvidenza, il cui nome non soltanto nel marmo, ma altresì sarà scritto nelle viscere del santuario, vale a dire nel Cuore di Cristo che ha promesso largo premio per chi avrà dato anche un solo bicchier d’acqua per amor suo» (Maddalena Albini Crosta, LDP, ottobre 1909, pag. 137). A questa fa seguito don Guanella, nel novembre successivo: «Nel nuovo tempio saranno erette confraternite e pratiche pie di culto per il transito di San Giuseppe» (LDP). Nel primo sviluppo della Pia Unione don Cesare Pedrini ebbe un ruolo importante. Don Cesare era entrato nella Congregazione di don Guanella nel 1910 come sacerdote e per un paio d’anni era rimasto a Como. Scenderà a Roma nell’estate 1912 accanto a don Aurelio Bacciarini, per svolgere da subito con passione il ruolo di “direttore delegato”, firmando la domanda alla Congregazione del Concilio per l’erezione della Pia Unione del Transito di San Giuseppe. Nel suo primo articolo su “La Divina Provvidenza”, nell’agosto 1913, don Pedrini parla di “voto” di don Guanella compiuto con l’avvenuta istituzione della Pia Unione (Una grande crociata spirituale ed universale in pro’ dei moribondi, LDP, agosto 1913, pp. 122-123). In questo articolo si legge già che «migliaia di fedeli, di prelati e religiosi, non solo d’Italia, ma anche dalla Svizzera, Francia, Stati Uniti hanno dato la loro adesione». Da non dimenticare che il primo iscritto fu San Pio X. Nel marzo del ‘14, il bollettino “La Divina Provvidenza” (il redattore è forse don Leonardo Mazzucchi) parla ancora del «voto della grande carità del nostro Fondatore finalmente compiuto», attribuendo alla fondazione della Pia Unione lo scopo dell’erezione della chiesa stessa! «E fu per questo fine primario che fu eretto in Roma un tempio monumentale dedicato espressamente al Transito di San Giuseppe» (LDP, marzo 1914). Forse, lo stesso don Mazzucchi “teorizza” questa intenzione del fondatore nell’articolo di maggio 1914, scrivendo: «Don Luigi disse tra sé: “Siamo venuti a Roma e siamo stati benedetti. A Roma sotto lo sguardo del Padre comune tutte le opere di Dio fioriscono e prosperano… Ma ho nel cuore un altro pensiero e un altro desiderio: c’è bisogno di ben vivere, ma c’è anche bisogno di ben morire. Una buona morte è tutto. Cosa conta tutto il lavoro consacrato alla salvezza delle anime se poi muoiono male? …La nostra chiesa di Roma l’ho voluta dedicare al Transito di San Giuseppe, per portare alle anime un modello, un protettore della buona morte, per stabilire in quel tempio una supplica perenne al Grande Santo dei morenti a beneficio delle anime che passano dal tempo all’eternità”». (LDP, maggio 1914, pp. 69-70). Don Guanella trovò in don Cesare Pedrini un valido collaboratore, un discepolo indefesso nella diffusione del sogno del fondatore di suscitare sentimenti di misericordia per ottenere misericordia. A don Pedrini, nel 1919, succede don Gualtiero Disler; a don Gualtiero succede un altro sacerdote guanelliano svizzero, don Leo Hegglin; terminato il mandato, lo sostituisce don Mauro Mastropasqua, postulatore della causa di don Guanella. A don Mastropasqua subentra don Giuseppe Preatoni, al quale va il merito di aver ristrutturato la basilica, ampliato l’abside, realizzato i grandi mosaici. Chiamato don Giuseppe ad altro incarico, arriva un altro sacerdote entusiasta, don Ezio Cova che ha dato un ulteriore impulso alla diffusione della Pia Unione e realizzato nel nome di San Giuseppe tanti focolari di carità in terre lontane, uno per tutti il Centro di riabilitazione per bambini arabi cerebrolesi di Nazaret, il paese stesso di Giuseppe, di Maria e di Gesù. Don Giulio Noseda, che mi ha preceduto, è subentrato a don Ezio.
Se non si può abusare della parola “miracolo”, davanti alla rapida diffusione della Pia Unione del Transito di San Giuseppe in ogni parte del mondo, si deve sottolineare che è un fenomeno straordinario.
Si avvera la profezia di San Pio X, il quale diceva: «Certo ne verrà nuova glorificazione a San Giuseppe dalla Santa Crociata per i morenti e migliaia di anime preganti salveranno migliaia di agonizzanti».
La Pia Unione, nonostante “l’inutile strage”, come Benedetto XV aveva chiamato la Prima guerra mondiale, per la quale molti seminaristi e sacerdoti erano stati inviati al fronte, con i servizi postali in sofferenza per i disagi della guerra, la Pia Unione registra una fioritura spettacolare. In quei mesi, nascono e si sviluppano filiali in Canada, in Cina, in Grecia, a Malta, in Brasile, in Svizzera, in Portogallo, in Spagna, in Libia e nella Cirenaica, in Inghilterra, nella lontana Oceania, in Venezuela, in California, a Chicago, a New York, a Boston. La Pia Unione si diffonde anche in Armenia, proprio negli anni bui del genocidio da parte dei così detti “Giovani Turchi” nei confronti dei cristiani armeni. In quel genocidio si parla di oltre un milione e 200 mila cristiani trucidati (cfr. La Santa Crociata, giugno 1916, pag. 29).
Nel dicembre 1916, la rivista “La Santa Crociata” pubblica che gli iscritti alla Pia Unione in favore dei morenti, oltre al compianto Pio X e al pontefice Benedetto XV, comprendono 20 cardinali, 100 vescovi, 30 mila tra sacerdoti, religiosi e religiose e più di 800 mila fedeli.
Il Segretario di Stato di allora, il cardinal Domenico Ferrata, conia uno slogan: la Pia Unione è «una splendida società di mutuo soccorso».
In occasione della solennità di tutti i santi del 1916 i vescovi dell’episcopato sardo indirizzano una Lettera pastorale ai fedeli della Sardegna, raccomandando l’iscrizione alla Pia Unione del Transito di San Giuseppe voluta da San Pio X e caldamente raccomandata dal Papa Benedetto XV.
I dieci vescovi della Sardegna, dopo aver elencato i danni che la guerra aveva lasciato alle sue spalle, come sofferenza, morti, orfani, vedove, disoccupati, suggeriscono che c’è «una classe di grandi bisognosi, anzi dei più bisognosi, non abbastanza considerata: quella dei moribondi».
Il grande patriarca San Giuseppe, protettore dei moribondi, è venuto in soccorso ai moribondi, ispirando la fondazione della Crociata universale a pro dei moribondi… «In questa Santa Crociata universale non poteva mancare la nostra Sardegna, sempre pronta ad opere buone» (cfr. La Santa Crociata, dicembre 1916, pag. 51).
Il termine “crociata” può, forse, far storcere il naso. Ma “Crociata”, anche se santa, nel nostro caso, non è sinonimo di “riconquista”, ma assume il carattere di solidarietà universale. Nel suo significato originale la croce, da cui “crociata”, è il simbolo dell’unione dei contrari, del sotto-sopra, del destra-sinistra, dei quattro punti cardinali. La crociata, per noi, è unire i diversi per camminare insieme.
Come si accennava, l’idea è sempre di don Guanella: quella di stampare un foglio di collegamento tra tutti gli associati per mantenere viva l’attenzione alla solidarietà e alla preghiera per i bisognosi.


Dalle nostre comunità nelle Filippine abbiamo seguito in diretta con gioia la Celebrazione eucaristica in San Pietro con la quale Papa Francesco ha presieduto e partecipato da vicino all'inizio del grande Giubileo dei 500 anni dell'evangelizzazione di questo benedetto arcipelago dell'Oriente.
Come guanelliani condividiamo la gioia e la gratitudine di questa Chiesa per il dono della Fede e rinnoviamo il nostro impegno di testimoniarla con umiltà e coraggio nel servizio dei poveri e degli emarginati.

L'emergenza sanitaria ha avuto un impatto drammatico sulla salute mentale delle persone. Le prime evidenze indicano che i soggetti più esposti al rischio di sviluppare problemi siano donne e giovani. Il disagio mentale è un problema che sta acquisendo sempre maggiore rilevanza a livello nazionale, coinvolgendo una sempre più ampia fetta di popolazione. Ma che impatto ha avuto la pandemia sulla salute mentale dei soggetti già a rischio? Siamo Noi, programma di Tv2000 in diretta alle 15:20, ne parla con: Rita Gallizzi, responsabile della Cooperativa Lotta contro l'emarginazione; Massimo Di Giannantonio, psichiatra; Don Fabio Lorenzetti, direttore del Centro di riabilitazione per disturbi del neurosviluppo dell'Opera Don Guanella di Roma.
(Fonte TV2000.it)

La famiglia guanelliana della Romania gioisce costruendo piano piano la carità di Cristo seguendo le orme di San Lugi Guanella. Come diceva Papa Paolo VI: “A questo punto la nostra considerazione del magnifico quadro delle opere di Don Guanella sembra davanti a noi trasformarsi in visione e presentarci proprio lui, San Luigi Guanella che, ammirando lui stesso e il cerchio vivente e splendente dei suoi Figli e dei suoi beneficati, placidamente, ma autorevolmente, ancora ci ammonisce, come faceva quand’era ancora in questa vita terrena: «È Dio che fa! È la divina Provvidenza! Tutto è di Dio: l’idea, la vocazione, la capacità di agire, il successo, il merito, la gloria sono di Dio, non dell’uomo. Questa visione del bene operoso e vittorioso è un riflesso efficace della bontà divina, che ha trovato le vie per manifestarsi e per operare fra noi!».
Pieni di fiducia nella Providenza divina, abbiamo inaugurato un furgone- doccia per le persone senza fissa dimora che sono molto cari a noi perché San Luigi Guanella diceva: "Un cuore cristiano che crede e sente, non può passare innanzi alle indigenze del povero senza soccorrervi”. Perciò abbiamo deciso di dare un aiuto concreto: accogliendo i migranti, rispettando la loro dignità e inserendoli in questa nuova iniziativa, rendendo concreto questo servizio tramite un veicolo dotato di bagno, wc, studio medico, barberia, lavatrice e asciugatrice, cosicché le persone per strada si sentano rispettate, amate.
La “doccia mobile” si basa sull'idea di venire incontro alle prime necessità per far sì che i nostri fratelli si sentano più umani a partire da qualcosa di primario com’è la cura del corpo. In questo modo rispondiamo alla semplice esigenza delle persone di poter fare il bagno, di lavare i propri vestiti, di tagliarsi i capelli… Molto toccanti sono le parole di Papa Francesco a riguardo: «La persona umana, posta da Dio al culmine del creato, viene spesso scartata. Ed è grave che ci si abitui a questo scarto, bisogna preoccuparsi, quando la coscienza si anestetizza e non fa più caso al fratello che ci soffre accanto».
“I poveri sono i figli prediletti” del Padre, diceva san Luigi, che amava ripetere: “chi dà ai poveri, presta a Dio”. Come il Padre è delicato e concreto nei riguardi dei figli più piccoli e deboli, così anche noi non possiamo far attendere i fratelli e le sorelle in difficoltà, perché – sono sempre parole di Don Guanella – “i poveri non può aspettare, noi non possiamo fermarci fin quando ci sono poveri da soccorrere!”
L’8 marzo scorso, il nostro vescovo Iosif Paulet ha benedetto il nostro “furgone della carità” e il nostro progetto. Egli stesso ha incoraggiato questa iniziativa a favore dei malati e dei senzatetto mettendo in evidenza che "sono esseri umani come noi ma che per vari motivi hanno bisogno del nostro aiuto e del nostro amore". Per fare questa attività bisogna salire il calvario come Gesù fece anche se qualche volta diventa pesante la croce quotidiana e addirittura possiamo cadere, ma lo stesso Gesù si alzò, pertanto anche noi dobbiamo alzarci e andare avanti sulla via della carità. Proprio come una strada che ha buche, dossi ma poi c’è il rettilineo, dobbiamo sempre guardare avanti! Il Salvatore, attraverso il suo amore per noi, vuole che continuiamo l'opera del suo amore.
Un sentito ringraziamento al Padre generale e al suo consiglio insieme al padre delegato e al consiglio della delegazione San Luigi Guanella per l’affetto e l’aiuto che hanno saputo dimostrare nei nostri confronti.
P. Bakthis e la Comunità
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Sognano già un campionato mondiale di calcio nelle loro Isole Solomone! Ce la stanno mettendo tutta negli allenamenti all’Oratorio guanelliano di Noro ...e non solo nel dare calci a un pallone...
Ci invia questa simpatica notizia con gioia e anche con una punta di giusto orgoglio il nostro P. Anil. missionario/ allenatore. Guardate che grinta!
Forza Ragazzi! Avete già vinto la Coppa Simpatia in questa tormentata stagione del Covid. Il futuro di speranza comincia anche con voi....

Ti raggiungiamo anche noi da Roma, caro Fratel Marin, per augurarti felice anniversario della tua consacrazione religiosa tra i Servi della Carità. Questa lunga tappa di 50 anni ti è servita per proclamare con forza, convinzione e serenità, il Vangelo della carità ricevuto da tutti noi nel Battesimo e riconsegnatoci nella professione religiosa guanelliana come scopo e fine della nostra testimonianza di vita. Grazie per tutto quello che hai saputo annunciare con la parola e con la tua vita al popolo santo di Dio. Sarà proprio questo popolo santo a suggerire a Dio parole buone a tuo favore.
La Congregazione ti è grata per il servizio svolto nella obbedienza e nella creatività. Sarà fiero di te anche il santo Fondatore che dal cielo invoca sulla tua persona la benedizione del Padre. Ad multos annos!
Don Umberto e Consiglio generale.

Cari amici mercoledì scorso, delle Ceneri, il Signore ha chiamato a vivere accanto a se il nostro confratello don Ezio Canzi, di anni 73.
Leggendo in questi giorni tutto il materiale presente nella sua cartella nell’archivio della Curia generalizia ho avuto una idea più completa e poliedrica della figura di don Ezio. Ho potuto seguire l’evolversi del suo percorso formativo dalle prime tappe del seminario minore di Anzano del Parco (CO) fino alla teologia a Roma. Attraverso il giudizio annuale dei vari formatori che lo hanno seguito ho toccato anch’io con mano l’azione dello Spirito che lo ha forgiato nella sua volontà e nel progetto della sequela di Cristo, facendogli superare scogli iniziali di permalosità, chiusura in se stesso, incapacità di mettere a frutto i bei doni del Signore. Piano piano, anno dopo anno, ho assistito anch’io al martellare dello scalpello sulla pietra grezza fino ad evidenziarne l’immagine che Dio già fin dall’inizio aveva posto in lui, ma che solo col tempo e l’azione umano-divina è stata portata a scoprimento. Benedetta formazione! Benedetto il tempo di cammino che la chiesa fa dedicare ad ogni giovane, come discernimento, accompagnamento, consolidamento e purificazione di una filigrana posta da Lui nel cuore di ogni essere creato, non visibile all’inizio del cammino, ma contemplabile nella sua bellezza, lucentezza, e preziosità alla fine, alla meta conclusiva del processo formativo. Tutto questo è visibile nel percorso formativo di don Ezio!
Ricco di queste prerogative scoperte, fatte proprie, nel 1977 con l’ordinazione sacerdotale, don Ezio affronta il ministero subito chiarendo a se stesso e agli altri che sarebbe stato un ministero vissuto a servizio dei più poveri, dei “Beniamini della Provvidenza” come li chiamava don Guanella.
Ed è in questo ambito specifico che la sua vita ha scritto pagine di umanità, di condivisione, di passione e vera dedizione per gli ultimi. Anche le foto che abbiamo di lui sono tutte scattate con e tra i nostri Buoni Figli. Lui stesso nella sua domanda alla professione perpetua scrive al Superiore generale: “ Ringrazio don Guanella, che mi permette di vivere questa vita religiosa per i più poveri, e chiedo a Lui aiuto e forza per essere perseverante in questa scelta”(Domanda per la professione perpetua, 28/02/1977) .
La sua vita di sacerdote guanelliano lo porta a ricche e sofferte esperienze missionarie, lontano da sua madre, che comunque lo segue dovunque, lontano dalla sua Patria, dal suo Paese, Sovico, tanto amato fin da riprodurre il suo nome in tante esperienze di solidarietà realizzate lontano, nel mondo guanelliano che abbraccia i cinque continenti. E così un paese relativamente piccolo davanti al mondo e poco conosciuto, come Nazareth, diventa notizia bella, amato e ricordato in Africa, in America Latina e in tutte quelle tappe vissute e amate dalla missione di don Ezio.
I poveri non devono stare solo al centro delle nostre case, ma al centro del nostro cuore!
È la descrizione della sua pastorale: i poveri, gli ultimi, al centro, protagonisti principali, don Guanella aveva detto “padroni di casa” mentre noi siamo solo i loro servi.
Fin dagli anni della formazione li ha incontrati e serviti ad Aguilar de Campoo, in Spagna, dal 1972 al 1974 e poi, dopo l’ordinazione sacerdotale, li segue nel trasferimento a Palencia nella Villa San José dal 1977 al 1990. Quanta storia gustosa, serena, coinvolgente, edificante i suoi compagni di cammino raccontano di questi anni passati alla Villa San José.
“Tutto il mondo è Patria vostra e la vostra Patria è dove c’è Dio”. Questa frase di don Guanella è stata più volte coniugata da don Ezio nella sua disponibilità alla missione. Rientrato dalla Spagna dal 1991 al 1994 è in Africa, a Nnebukwu per iniziare l’avventura dell’Opera don Guanella nel continente africano. Senza conoscere bene l’inglese, ma con lo spirito del missionario che gli ardeva nel cuore va, sorregge don Giancarlo Frigerio nelle prime battute del discernimento del luogo e della modalità della nostra presenza in Africa. Quante fatiche, sofferenze, umiliazioni, fame, sì anche fame fratelli! E i suoi racconti di quegli anni, pur mettendo in evidenza anche questi aspetti di difficoltà, erano sempre spassosi, evidenziavano con pennellate più dense di colore ciò che nel loro cuore era coltivato come attesa, speranza di un futuro migliore, promettente, magari anche gestito da altri, come praticamente poi sarà. E la prima nostra Opera a Nnebukwu è stata un Centro per disabili.
La missione logora fisicamente e allora c’è un rientro in Italia nel 1994 per rifarsi un poco, ma non con le braccia incrociate, ma a Tirano, presso il santuario della Madonna, dove l’opera don Guanella aveva un Centro per disabili nel vecchio palazzo del San Michele. Vi rimane un anno solo e poi riparte. Questa volta per il Chapas in Guatemala nella Aldea Santa Rosa a 80 Km dalla Capitale. Qui la lingua spagnola lo sorregge di più. Fonda con don Enrico una nuova nostra presenza. Ho visto personalmente dove i confratelli vivevano nel tempo iniziale prima della costruzione della nostra casa guanelliana. Un retro sacrestia umido, poverissimo, abitato anche dai topi, ma comunque all’ombra della parrocchia dedicata alla Immacolata Concezione, Madre anche di quel popolo povero e bisognoso a cui erano stati mandati e dal quale erano stati accolti con tante premure e affetto, come fratelli. Dal Guatemala un salto di un anno in Colombia a Floridablanca. Anche qui Centro per disabili e Casa di orientamento vocazionale. Poi di nuovo in Italia. Dopo 21 anni di sacerdozio don Ezio viene mandato dai Superiori nel 1998 a Cassago Brianza come coordinatore delle attività socioeducative della Casa. L’Istituto Sant’Antonio che accoglie un Centro diurno per disabili, e alcuni gruppi-comunità sociosanitari. Nel settembre del 2003 il suo Provinciale lo invia come Direttore delle attività in un’altra comunità per disabili, quella di Lora Casa di Gino. Vi rimane 10 anni, intensi, animatore del settore disabili, entusiasta di stare con i suoi prediletti. Vi celebra il 25 di sacerdozio: indimenticabile tappa di riconoscimento da parte dei suoi ragazzi del suo valore di uomo e di fratello maggiore. Ma ad attenderlo in questa fase del suo ministero c’è anche la prova, la sofferenza soprattutto fisica. Come si dice tra noi, ne esce con le ossa rotte, meglio con i reni compromessi. Deve essere mandato nella nostra Casa di Nuova Olonio perché la preoccupazione per il suo stato di salute era molto alta, addirittura si temeva il peggio. Vederlo già camminare con il bastone era una vera tristezza. La tempra era stata provata dalle esperienze missionarie iniziali e le conseguenze si erano addensate nei suoi reni non più capaci di filtrare nel migliore dei modi.
Ma può un carattere così forte ed esigente arrendersi davanti ad un problema sì grave, ma certamente non tale da impedirgli altra attività ed esperienza pastorale?
La proposta di un suo amico, don Fabio Pallotta, che stava iniziando una nuova esperienza pastorale in Galizia, ad Arca, sul cammino di Santiago di Compostela, è la scintilla che lo rimette in piedi. Superate le difficoltà iniziali di salute affronta la nuova missione, ancora una volta in Spagna, ma come pellegrino sulle strade che portano al Signor Santiago, a San Giacomo. Era l’ottobre del 2010 quando l’Opera don Guanella inaugurava la nostra presenza ad Arca nella parrocchia di Santa Eulalia. Ero vicario generale in quel momento e a me il Superiore aveva dato l’incarico di seguire questa comunità nascente. Ricordo molto bene che presentando al Vescovo di Santiago, Mons. Julian Barrio Barrio i nostri confratelli, avevo detto scherzosamente che la Congregazione offrire all’Arcivescovo un confratello e mezzo, alludendo alla salute precaria di don Ezio. Ma San Giacomo ha fatto il miracolo. Dieci anni di servizio pastorale nelle comunità affidate alla nostra Congregazione, pur con tante attenzioni e premure di don Fabio e della gente del luogo, ma con serenità, gioia di vivere ed essere utile al popolo di Dio. La gente lo ha accolto, conosciuto, amato, stimato come un padre, un amico, un fratello maggiore che sapeva ridere ed essere severo quando occorreva. Sempre disponibile per il ministero, per la visita agli ammalati, per la catechesi. So che nel suo cuore c’era un desiderio: aprire anche qui una Casa per i suoi prediletti, i disabili e forse sognava proprio di chiudere gli occhi, da buon nonno, tra questi figli che lui ha sempre amato e difeso e loro lo aveva sempre contraccambiato con l’affetto che rigenera la stanchezza e i dolori in chi vive loro accanto. Chissà che un domani qualcun altro potrà realizzare questo suo sogno e a lui dedicarlo!
Il titolo dell’articolo suona “il vescovo dei poveri”; glielo avevano dato loro, i suoi ragazzi, quando al suo 25 di sacerdozio gli avevano regalato come segno del loro amore: una croce pettorale, un anello e una veste rossa. Gli volevano un mondo di bene e cosa potevano coltivare nel loro cuore questi suoi figli e amici se non che anche il loro “don” arrivasse alla pienezza del sacerdozio, l’episcopato? Don Ezio era avulso da questi riconoscimenti, stava alla larga, avrà fatto delle fragorose risate davanti a questa trovata, ma poi pensando che erano i loro auguri, scherzosi sì, ma sinceri li ha accettati e li ha commentati con gioia nel suo discorso proprio del 25 anniversario di sacerdozio. “La mia carriera è stata quella di vivere e stare con le più alte autorità della chiesa e soprattutto del Vangelo: i poveri, le persone che sono portatori di capacità differenti e che chiamiamo disabili psichici….Ho veramente goduto in questi anni di stare con loro!......Ho avuto dei riconoscimenti: ho sul petto una croce d’oro con dei diamanti che sono tante piccole e tenere testoline di questi portatori di qualità differenti che si sono appoggiate sul mio petto e sul mio cuore….Ho anche un anello al dito che col tempo non riesco più a togliere ed è diventato un segno di continuità per le tante mani che hanno trovato le mie, per il sostegno al loro difficoltoso camminare, per dispensare alimenti a chi doveva essere imboccato e per la preziosità dei corpi che ho lavato, curato, vestito…….Mi dimenticavo della veste rossa che posso portare! Il rosso è il colore del sangue, della vita, dell’amore. Quanta vita e quanto amore ho ricevuto da queste persone che chiamiamo deboli mentali e che sono invece forti. Forti nel volere vivere pienamente la vita, capaci di non perdere nessuna sfumatura e forti per la profonda conoscenza dell’amore, della relazione, della comunione…Mi sono pienamente appagato, realizzato come sacerdote religioso guanelliano e grazie alla carriera ecclesiastica ora anche come “vescovo dei disabili”. Ringrazio il Signore per tutto e per avermi chiamato a servire loro i migliori dell’umanità” (Lettera di don Ezio Canzi per il 25° di sacerdozio, 2002).
Grazie don Ezio per il tuo passaggio rapido, ma sostanzioso, nella nostra storia di uomini e di guanelliani. Raccogliamo la tua eredità di premura e vicinanza agli ultimi che, poi, sono “i primi” del Vangelo. Don Guanella è fiero di te e saprà, nell’incontro eterno, rivestirti della veste nuziale adatta per partecipare al Banchetto che Dio ha preparato fin dalla eternità per chi lo ha amato e servito nei più poveri.
P. Umberto