Monsignor Bacciarini esortava i padri capitolari a dimenticare i calcoli umani e a cercare il vero bene della congregazione.
A cent’anni dal IV Capitolo generale che elesse don Leonardo Mazzucchi

di Riccardo Bernabei

Il 28 febbraio di cento anni fa, nella Casa Madre di Como, il canto del Veni Creator e le litanie del Sacro Cuore aprivano la celebrazione del IV Capitolo generale dei Servi della Carità, il secondo dopo la nascita al cielo del Fondatore. I lavori della mattinata, che prevedevano l’elezione del consiglio generale, procedettero spediti e vennero chiusi in tempo per il pranzo. Nel pomeriggio fu letta la relazione economica, terminata la quale i due superiori generali, quello uscente e quello eletto, dissero alcune parole di ringraziamento ai presenti. Alle quattro e mezza, dopo il Te Deum e una visita alla tomba di don Guanella, la seduta era tolta.

Oggi, il Capitolo generale è soprattutto un momento di riflessione, dibattito e delibera sulle questioni che la congregazione ritiene più importanti. I primi Capitoli invece appaiono molto diversi, e quello del 1924 non fa eccezione. Durò poche ore, concentrate in una singola giornata, senza mettere nessuna discussione a verbale, e si limitò fondamentalmente all’elezione del governo generale. La scarna cronaca della giornata contiene però un passaggio tutt’altro che secondario della storia guanelliana.

Fu innanzitutto l’evento che segnò l’avvicendamento fra due uomini che hanno dato una forte impronta, e non solo mediante il loro governo, ai Servi della Carità. Il superiore uscente era monsignor Aurelio Bacciarini, primo successore di Don Guanella. L’eletto era invece don Leonardo Mazzucchi, figlio spirituale e biografo del Fondatore, che resterà alla guida dei Servi della Carità sino al 1946, durante i ventidue anni nei quali, secondo l’autorevole parere di don Nino Minetti, «riuscì a far rivivere e prolungare don Guanella nel tempo». Oltre a Mazzucchi e allo stesso Bacciarini (che restava consigliere), il nuovo consiglio era formato da Silvio Vannoni (vicario generale), Guglielmo Bianchi e Salvatore Alippi. Il segretario sarebbe stato Mauro Mastropasqua, mentre economo generale era  Martino Cugnasca.

Nel 1915 Bacciarini aveva ricevuto il mandato con nomina diretta della Santa Sede, ma poi era stato confermato dai confratelli nel Capitolo del 1921. In seguito i suoi problemi di salute si fecero sempre più pesanti e non gli consentirono di gestire il doppio gravoso impegno, guida dei Servi della Carità e vescovo di Lugano. Per queste ragioni, fra la fine del 1923 e l’inizio dell’anno seguente aveva concordato con il cardinale Camillo Laurenti, prefetto della Congregazione per i Religiosi, le modalità per lasciare il compito di superiore e convocare un Capitolo che ne eleggesse uno nuovo. Avrebbe voluto come successore proprio Mazzucchi, già suo vicario, che nell’ultimo periodo stava sempre di più prendendo in mano le redini del governo.

Non fu però un’elezione scontata e i confratelli non ebbero solamente il compito di trovare dei nomi. Nelle settimane precedenti molti pensavano che sarebbe stato necessario per i Servi della Carità un superiore esterno, un delegato della Santa Sede che governasse da fuori. I guanelliani erano invece chiamati ad assumersi pienamente la responsabilità di custodire il carisma del loro Fondatore, a camminare, con l’aiuto di Dio, sulle proprie gambe.

Molto di quanto possiamo raccontare sul Capitolo del 1924 lo conosciamo grazie agli appunti di un discorso pronunciato da Bacciarini alla vigilia del Capitolo. È una fonte preziosa per capire quali fossero le questioni che agitavano i guanelliani e far emergere le tematiche sulle quali il Capitolo dovette esprimersi. Ma essi ci rivelano anche i tratti della personalità e dello stile di Bacciarini. È utile riportarne alcuni passaggi, significativi ancora dopo un secolo.