Il racconto di chi ha vissuto gli inizi del Don Guanella Major Seminary. Un cammino lungo venticinque anni, che ha portato molto frutto

di don Nico Rutigliano, Vicario generale dei Servi della Carità

Sono arrivato in India la prima volta nel luglio 1997. Accompagnavo don Umberto Brugnoni, allora superiore della Provincia Romana San Giuseppe, nella visita ai seminaristi guanelliani che studiavano presso i seminari diocesani nel Tamil Nadu. Passando per Karayanchavadi, quartiere di Chennai, fui ospite nel Sacred Heart Seminary, che per sessantadue anni era stato guidato dai salesiani e che proprio quell’anno veniva affidato ai responsabili della formazione della diocesi di Madras e Mylapore. Qui si preparavano a diventare guanelliani i nostri seminaristi Chandra Nevis e Satheesh Caniton, oggi religiosi guanelliani con vent’anni di sacerdozio.

A quell’epoca, il terreno sul quale ora sorgono il Don Guanella Major Seminary e il Rehabilitation Centre Special School era un campo di riso. Quelle risaie oggi hanno portato il frutto più prezioso che potevamo aspettarci nel campo della formazione dei religiosi e della riabilitazione delle persone con difficoltà.

Ma il mio arrivo ufficiale in India è stato un anno dopo, il 3 luglio 1998, per avviare a Poonamallee il nuovo seminario maggiore ed evitare così ai nostri aspiranti di andare in Italia per la loro prima formazione. Non c’era però ancora una struttura adatta e quindi abbiamo abitato in una modesta casa, a due piani, che prima era stata usata dalla polizia, in James Street (attuale sede del superiore provinciale). Ho condiviso la preoccupazione formativa e organizzativa con padre John Joseph e padre Paneer Raja.

Erano presenti i primi studenti di teologia, Visuwasam e Ligori Chinnappan. Presto arrivarono da Manila, dopo la prima professione religiosa, i confratelli Benson,  Johndass, Kulandai, Jesuraj, Ronald e Periyanayagasamy, che iniziarono in quell’anno i corsi propedeutici agli studi filosofici e,  in mancanza di meglio, dovettero adattarsi in un’aula sul terrazzo, protetta da rami di palma intrecciati. Tempi eroici per i nostri studenti, che hanno dato prova di spirito di sacrificio, in attesa di poter entrare nel giugno dell’anno seguente nel nuovo seminario in Karayanchavadi. 

In quel 1998 siamo entrati nel Don Guanella Major Seminary, che aveva ancora la struttura grezza ed era incompleto nell’arredo. Ricordo che gli operai lavoravano di notte, alla luce di neon predisposti, per installare le imposte e le intelaiature delle finestre. Questi carpentieri e falegnami furono premiati per il loro superlavoro da don Piero Lippoli, che va ricordato e ringraziato per aver seguito le fasi della costruzione disegnata dall’architetto Rimmen. Don Piero veniva di tanto in tanto dall’Italia, vegliava sull’andamento del percorso formativo, vigilava sull’avanzamento dello stato dei lavori e rincuorava tutti, spronava e incoraggiava.

Anche l’allora superiore provinciale, don Umberto Brugnoni, non mi lasciava solo nell’affrontare le nuove sfide, ma mi guidava con le sue esortazioni, mi consigliava con le sue telefonate, mi accompagnava con le sue e-mail. Quando ci faceva visita, per noi tutti era l’arrivo di un padre che ci ascoltava e ci indicava il cammino, spingendoci a fare un passo avanti, a crescere verso la “statura alta” della santità guanelliana.

L’esperienza di quegli inizi per me fu come se fossi tornato bambino, con il bisogno di imparare a camminare, a parlare, a mangiare… Per me tutto era nuovo: la lingua, il cibo, la gente, le case, la vegetazione, la cultura. Ogni sabato pomeriggio mi facevo accompagnare da un chierico, con la moto, a visitare un tempio indù, una casa per disabili, un centro per anziani. Ho visitato anche qualche ashram (romitaggio dove un saggio indù propone il suo insegnamento), scoprendo la bellezza della cultura indiana, cercando di entrare timidamente in quel nuovo mondo. 

Il consiglio più bello che ricevetti, prima di andare in India, fu: «Quando metti piede sul suolo indiano, togliti le scarpe, perché quello che calpesti è un suolo sacro», come Mosè davanti al roveto ardente. Ho scoperto quanto è sacra quella terra, quanto sono religiosi i suoi abitanti, quante religioni sono presenti e convivono insieme. In India non ho mai trovato un ateo, ma sempre persone appartenenti a religioni differenti. Ho appreso quanto è sacro l’ospite, quanto è rispettato l’anziano, quanta obbedienza si porta verso l’autorità.

Pian piano quella terra, dove fioriscono i gelsomini (i poonamallee), ha prodotto tanti germogli di bene, a partire dalla attività con i disabili, i “buoni figli” di don Guanella; iniziata con il ritmo di un giorno per settimana, è poi diventata un servizio duraturo per tanti bisognosi. Sono cresciuti anche il numero e il valore dei nostri studenti che, mentre studiavano, trovavano il tempo di fare animazione vocazionale. 

Oltre al servizio di riabilitazione per i disabili, sono germogliati altri gesti di bene, quali la catechesi e l’attività di doposcuola con i bambini (evening school).

Mi ritengo davvero fortunato! Ho fatto una preziosa esperienza in un grande paese l’India, che mi ha aperto la mente e il cuore. Ho trovato giovani confratelli che mi hanno aiutato a inserirmi nella nuova cultura, mi hanno insegnato pazientemente una nuova lingua, mi hanno introdotto a usi e costumi di quel vasto subcontinente che ancora continua a stupirmi per l’accelerazione del suo progresso e insieme per la ricca tradizione antica, religiosa e culturale.