Don Guanella prese le difese dei religiosi Concettini, accusati ingiustamente di abusi. La loro congregazione fu fondata dal beato Luigi Monti, di cui ricorre il secondo centenario della nascita
di don Gabriele Cantaluppi
A Bovisio, borgo a una ventina di chilometri da Milano, nasceva il 24 luglio 1825 il beato Luigi Monti, ottavo di undici figli; ricorre dunque quest’anno il secondo centenario dalla sua nascita. Pur essendo contemporaneo di don Guanella (il Monti morì il 1 ottobre 1900) e essendoci molti tratti comuni nel loro carisma, non risulta però che i due si siano incontrati personalmente in vita. Vogliamo però ricordare un episodio drammatico della storia dei Figli dell’Immacolata Concezione, la congregazione suscitata dal Monti, che vide don Guanella decisamente coinvolto in loro difesa. Prima però percorriamo brevemente la vita di Luigi Monti, un santo della carità.
Il giovane Luigi, rimasto orfano di padre appena dodicenne, praticò il mestiere del falegname per aiutare la madre e i fratelli più piccoli. Fortemente impegnato nella sua parrocchia, radunava nella sua bottega molti coetanei, avviando in tal modo una specie di oratorio serale, nel quale i partecipanti si distinguevano per la serietà della vita cristiana, la dedizione ai malati e ai poveri e per lo zelo nell’evangelizzare i lontani. Visse poi sei anni tra i Figli di Maria Immacolata, congregazione che san Lodovico Pavoni (1784-1849) aveva fondato solo cinque anni prima. Fu quello un periodo importante, nel quale fece pratica di educatore e apprese la professione di infermiere, che poi mise a servizio dei colpiti dall’epidemia di colera del 1855 a Brescia, chiudendosi volontariamente nel locale lazzaretto.
A trentadue anni era ancora alla ricerca della realizzazione concreta della sua consacrazione e chiedeva luce immergendosi nell’adorazione del Santissimo Sacramento. Era sul punto di abbandonare tutto, quando una forte esperienza spirituale lo convince a non desistere dalla ricerca. Consigliato di recarsi a Roma, venne inserito nel personale sanitario dell’ospedale di Santo Spirito in Sassia, addetto dapprima a tutti i servizi riservati al personale ausiliario, poi a particolari interventi quali i salassi, dopo aver conseguito il diploma all’Università La Sapienza.
Fu in quell’ospedale che, nel 1858, diede vita ad una congregazione religiosa di laici (detti Concezionisti o più semplicemente Concettini) per l’assistenza agli infermi. Era una comunità di “fratelli”, composta da non sacerdoti e sacerdoti, nella parità dei diritti e dei doveri, ove a superiore della comunità doveva essere eletto il fratello più idoneo. Pio IX, che li prediligeva per la serietà con cui si dedicavano agli ammalati e anche perché ricordavano nel nome il dogma mariano da lui proclamato, nel 1877, anche per l’unanime designazione degli altri confratelli, pose il fondatore a capo della congregazione, dove rimarrà per ventitré anni, fino alla morte, e ne redigerà le regole di vita. Pur non avendo ricevuto gli Ordini sacri, fu però chiamato “padre” per venerazione dai suoi discepoli, colpiti dalla sua paternità spirituale.
Aprì altre comunità, allargando l’opera assistenziale ai minori, orfani di entrambi i genitori, e organizzò una casa di accoglienza per loro a Saronno, dove volle che si praticasse il suo principio pedagogico basilare, fondato sulla paternità dell’educatore e sullo spirito di famiglia.
Il 1° novembre 1909, quando padre Monti era morto da alcuni anni, due suoi giovani religiosi della comunità di Cantù venivano tradotti nel carcere di San Donino a Como con l’accusa di corruzione di minorenni. I loro nomi: fra Edmondo (al secolo Luigi Nutti) di ventitré anni e fra Gerardo (al secolo Minessi Bernardo) di trent’anni. Qualche giorno più tardi toccherà anche a fra Pacifico (Antonio Terraneo) di sessant’anni. Per il loro arresto si mobilitarono una trentina di agenti, che arrestarono i frati proprio nell’ora in cui la popolazione di Cantù stava tornando dalla visita al cimitero, con il preciso scopo di dare risonanza all’operazione.
L’accusa era la seguente. Da pochi mesi era stato accolto nell’Istituto educativo a Saronno un ragazzino, abbandonato dai genitori perché separati legalmente. Era affetto da una malattia cronica ed era apparsa la gravità del suo stato di salute agli stessi medici che, nonostante le cure, non riuscivano a portarlo a guarigione. Poco dopo, in seguito alla morte del marito, la madre si risposò e riprese il figlio in casa, anche se persistevano le sue condizioni gravi. Da qui l’accusa ai religiosi Concettini di aver fatto maltrattamenti e altro, anche per le accuse dello stesso ragazzo, moralmente segnato dall’ambiente da cui proveniva. Nel processo che seguì, erano stati chiamati a testimoniare gli altri ragazzi dell’Istituto, ma non risultò fondata nessuna delle accuse, per cui i religiosi furono scagionati.
Ciò che maggiormente indignò don Guanella, e con lui tutti i buoni, fu il fatto che, mentre nei giorni dell’arresto si era enfatizzata pubblicamente la vicenda, anche sugli organi di stampa, si cercò invece di mettere a tacere la notizia della loro liberazione. Per riparare alla palese ingiustizia, su La Divina Provvidenza del gennaio 1910, con un breve articolo dal titolo Evviva, fu lo stesso don Guanella a esprimere la gioia per la riconosciuta innocenza dei Concettini e a inneggiare alla rettitudine dei magistrati giudicanti, accennando anche a un’analoga situazione vissuta nel medesimo periodo dai Salesiani. Nel numero successivo del bollettino guanelliano, questa vicenda fu ripresa più dettagliatamente, ma da un’altra penna e non più da don Guanella. Si parlava dei due mesi di prigionia subiti dai tre religiosi (furono precisamente settantadue giorni) «in una cella disonorata, tra la feccia delle taverne e la bordaglia dei ladri». La sera dell’Epifania del 1910 i Religiosi furono liberati e tornarono nella loro sede, mentre una gran folla «a Cantù si accalcò sul passaggio dei Concettini scarcerati e salutava i martiri della carità, i confessori della fede e baciava quelle mani solcate dalle manette». Don Guanella volle che anche la banda musicale dei ragazzi della Casa Divina Provvidenza desse il suo concorso a solennizzare pubblicamente l’evento.