Consonanze tra Magistero pontificio e spiritualità di don Guanella. Nell’enciclica Dilexit nos papa Francesco invita ad abbracciare il Cuore umano e divino di Gesù

di don Gabriele Cantaluppi

Ricorrono novant’anni da quando, il 27 giugno 1935, vigilia della solennità del Sacro Cuore, nell’episcopio di Lugano il vescovo Aurelio Bacciarini, agonizzante, compiva il suo più ardente desiderio, di consacrare l’intera diocesi del Canton Ticino al Cuore di Cristo. Scrive il suo biografo: «Gli fu amministrata l’Estrema Unzione e lo si riportò in camera sua, mentre egli continuava il suo intrattenersi con Dio. Un po’ più tardi interruppe ancora il suo raccoglimento, fece segno con la mano di volere scrivere e disse: Datemi la pergamena!

Gli fu presentata la pergamena. Prese lentamente gli occhiali, la sua stilografica, e, sollevatosi un po’, scrisse, non senza fatica: Aurelius episcopus». Per il santo vescovo questa consacrazione significava impegnare i battezzati a seguire lo stile di vita di Gesù, a ricevere da lui ispirazione per il proprio modo di pensare, di giudicare, di amare e di comportarsi.

Ma la consacrazione non è un traguardo raggiunto; è processo che, passo dopo passo, porta il credente a chiedere di avere sempre di più gli stessi sentimenti di Cristo. Il suo contenuto è la cosciente e totale rinuncia al peccato e alle sue seduzioni, è l’affidamento irrevocabile a Dio. Consacrarsi al Cuore di Gesù significa prendere lui come ispiratore della nostra vita e del nostro comportamento, perché ha detto: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore»; è avere il suo Cuore e i suoi sentimenti sempre sotto i propri occhi.

La contemplazione del Cuore trafitto di Gesù, da cui sgorgano sangue e acqua, nella Chiesa ha dato origine a svariate forme devozionali e addirittura a numerose famiglie religiose; anche don Guanella aveva inizialmente chiamato i suoi religiosi con il nome di Figli del Sacro Cuore. Ma Pio XII, nell’enciclica Haurietis aquas del 1956, metteva in guardia da pratiche devozionali tendenti al sentimentalismo, e indicava contemporaneamente le vie da seguire per un autentico rinnovamento di tale devozione. Scriveva papa Pacelli: «È nei testi della Sacra Scrittura, della Tradizione e della Liturgia che i fedeli devono cercare di scoprire le sorgenti limpide e profonde del culto al Cuore di Gesù, se desiderano penetrarne l’intima natura e trarre incremento e alimento del loro religioso fervore».

Grazie al rinnovamento teologico e pastorale, promosso dal Concilio Vaticano II, il culto al Sacratissimo Cuore si è mutato in una spiritualità centrata nel mistero di Cristo, il cui Cuore trafitto è rivelazione piena del Dio-Amore e, contemporaneamente, donazione di amore totale, che va accolto, corrisposto e irradiato con tutta la nostra vita. Un modo per dare forma concreta a questa esigenza di corrispondere a tanto amore è la consacrazione di sé stessi al Cuore di Gesù. Già Pio XI nell’enciclica Miserentissimus Redemptor indicava che la consacrazione personale «fra tutte le pratiche riferentesi al culto del Sacro Cuore è senza dubbio la principale» perché insegna che «riconoscendo di aver tutto ricevuto dall’eterna carità di Dio, offrendoci al Cuore di Gesù, alla stessa eterna Carità offriamo noi stessi e tutte le cose nostre».

Nell’enciclica Dilexit nos, sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo, pubblicata il 24 ottobre 2024, papa Francesco ha voluto commemorare i trecentocinquant’anni dalla prima delle apparizioni di Gesù a santa Margherita Maria Alacoque, avvenuta nel 1675; in esso Cristo le additava con la mano il suo Cuore e la invitava a promuoverne il culto. Secondo il Papa, il cuore è il centro della persona ed è il cuore (e non la mente) dove le persone sentono e amano. A questa affermazione di Francesco fanno eco le parole di don Guanella nell’operetta Nel mese del fervore (1884) sulla devozione al Sacro Cuore: «La vita del cuore dell’uomo è la vita di tutto l’uomo. Gesù ti mette dinanzi palpitante il proprio Cuore perché riguardando a quello tu ti commuova. Gesù ti apre il suo costato perché, entrando nel Cuor suo, viva della vita sua e impari a salvare te e altrui».

L’Enciclica di papa Francesco invita anche a rinnovare la nostra autentica devozione ricordando che nel Cuore di Cristo «incontriamo tutto il Vangelo» (n. 89). Anche don Guanella nella citata operetta, a ognuna delle meditazioni aggiunge una citazione della Sacra Scrittura «atta a mostrare le tenerezze di quel Cuore divino». Ed è nel suo Cuore che «finalmente riconosciamo noi stessi e impariamo ad amare» (n. 30), a comprendere come il Signore parla attraverso le emozioni interiori. Se non c’è un contatto diretto, se non c’è la percezione dell’amore, se non c’è una conoscenza interiore del Signore per amarlo e seguirlo, non può esserci neppure una vera conversione.

Secondo don Guanella, la manifestazione più evidente della paternità di Dio trova la sua concreta espressione nel Cuore di Cristo, che incarna e rende al tempo stesso umano e divino l’amore paterno di Dio. Per cui il «Cuore di Gesù è cuore di Padre». E consacrarsi al Cuore di Gesù è «rivolgere lo sguardo a Gesù, appoggiarsi alla destra di Gesù», che è presente e si dona totalmente nell’Eucaristia: «Il nostro altare del Sacro Cuore è l’emporio della divina carità, di quella divina carità che tutta è nell’ostia santa, in Gesù sacramentato, che è là dentro, in quella casetta del tabernacolo. Ivi è realmente e sostanzialmente il Cuore eucaristico e, con il Cuore, il sangue, il volto, la persona adorabile del comune redentore e signor nostro Gesù Cristo» (da un manoscritto del 1892). Chi si nutre dell’Eucaristia vive tutti gli atteggiamenti di Gesù in relazione al Padre e ai fratelli: la gratitudine e il ringraziamento, la lode a Dio e la riparazione dei peccati, il farsi tutto a tutti fino a donarsi come cibo alle persone che si amano, fino a lavare i piedi in atteggiamento di umiltà e di contemplazione davanti al povero, anch’esso identificato con Gesù.