Il quadro, venerato nella chiesetta di Valle Aurelia a Roma, testimonia l’azione pastorale dei Guanelliani in quella borgata romana
di don Gabriele Cantaluppi
Poco distante dal Vaticano, Valle Aurelia è un’area urbana del XIII Municipio di Roma Capitale e da sempre chiamata anche “Valle dell’Inferno”. Inizialmente il termine indicava l’ubicazione: vallis inferior, cioè in basso, inferiore. Poi, a rafforzare l’appellativo, si aggiunsero azioni belliche dovute alla furia dei Lanzichenecchi che nel 1527, durante il famoso Sacco di Roma, in questo luogo fecero una strage delle truppe pontificie, che fu un vero e proprio “inferno”.
Infine in tempi più vicini a noi sorsero numerose fornaci, che rimasero in funzione fino agli anni Venti del Novecento, utilizzate per la fabbricazione di materiale laterizio, che sfruttava l’argilla estratta dalle cave della vicina zona, chiamata Monti di Creta. I fornaciari, in gran parte di origine veneta, formarono una comunità locale legata al lavoro duro che vi si svolgeva, ma anche con proprie strutture ricreative e politiche. Con il passare del tempo, i prati tutt’intorno sono diventati quartieri e la valle oggi ha un aspetto caratterizzato da palazzoni popolari di dodici piani.
Don Luigi Guanella, proveniente dalla chiesa di san Giuseppe al Trionfale, su sollecitazione del papa Pio X vi avviò la cura pastorale nell’estate del 1905, iniziando con le sue suore un apostolato che cambiò la mentalità degli abitanti, avversa alla religione più per la durezza della vita quotidiana che per malanimo. Iniziò un asilo con ottanta bambini in un appartamento in affitto, che le suore raggiungevano, con circa un’ora di cammino ogni giorno, provenendo dal Ricovero Pio X presso la basilica di san Pancrazio. Nel 1921 don Luigi Previtali, parroco di San Giuseppe al Trionfale, edificò una chiesetta con un piccolo campanile, dedicandola alla Madonna della Provvidenza e annettendovi quasi subito l’asilo, una scuola elementare e le associazioni femminili di volontariato, tra cui spiccavano le dame di San Vincenzo.
Il 10 dicembre 1962 il cardinale Vicario Clemente Micara elevò la chiesetta in parrocchia staccandola da quella di San Giuseppe al Trionfale e nel 1979, essendo cardinale vicario Ugo Poletti, fu inaugurato il nuovo tempio parrocchiale, dedicata a san Giuseppe Benedetto Cottolengo; fino al 2006 vi rimasero i Servi della Carità e successivamente subentrò la diocesi di Roma. La vecchia chiesetta nel piccolo borgo rimase però nel cuore degli abitanti e continua ancora oggi a essere un punto di ritrovo per la Messa festiva.
Al suo interno, sulla parete dietro l’altare, è collocato un dipinto a olio su tela, di forma ovale, di autore ignoto, racchiuso da una cornice, con caratteristiche che richiamano la tradizione pittorica tardo-rinascimentale e barocca, anche se, osservando la tecnica esecutiva e lo stato di conservazione, la sua realizzazione sembrerebbe da collocarsi nel XIX secolo. Rappresenta l’immagine della Madonna della divina Provvidenza, copia di quella venerata nella chiesa di san Carlo a’ Catinari a Roma, alla quale don Guanella dedicò le sue suore, chiamandole Figlie di Santa Maria della Provvidenza. La Vergine Maria vi è rappresentata con il capo leggermente inclinato e con un’espressione dolce e materna, mentre stringe il Bambino tra le braccia, con un movimento di tenerezza, quasi immagine della Provvidenza che il Padre ha verso tutti noi suoi figli.
Impreziosiscono l’opera alcuni gioielli in lega d’oro, ex voto donati dai fedeli, e una corona aurea di dodici stelle, che richiamano l’iconografia dell’Immacolata Concezione. La raffinata lavorazione orafa testimonia la tradizione radicata in Italia, soprattutto nel Sud, di arricchire le immagini sacre con ex voto donati dai fedeli per devozione o per richiesta di protezione. In questo modo queste opere devozionali offrono anche una preziosa testimonianza di fede, oltre che di abilità artigianale, in cui arte e spiritualità si intrecciano, rafforzando il legame con la comunità dei devoti. Anche per questo l’iniziativa del recupero dell’immagine sacra, proposta dal parroco don Giacomo Pavanello e sostenuta da don Cosimo Schiavone, sacerdote guanelliano che esercita il suo ministero pastorale nella chiesetta, ha trovato subito convinta adesione dei fedeli.
Nei mesi a cavallo tra il 2024 e quest’anno, si è provveduto al restauro del dipinto e della cornice lignea, che si presentava fortemente compromessa. Il lavoro è stato effettuato dalla restauratrice Elena Cianca, specializzata nel Percorso Formativo Professionalizzante, mentre i gioielli sono stati restaurati dalla restauratrice Clarissa Pilato. Al termine le professioniste hanno presentato una dettagliata relazione tecnica relativa alla composizione dell’opera, al suo stato di conservazione e alle tecniche di restauro. Si è scoperto che l’opera ha avuto precedentemente interventi di restauro e alcune sue parti sono state ridipinte. Pertanto la pulitura ha richiesto grande accortezza nella scelta delle soluzioni adeguate, sia nei prodotti da usare come nelle tecniche di esecuzione.
Anche se in questa sede non è opportuno riferire le dettagliate particolarità, descritte dalla relazione scientifica, con termini tecnici da addetti ai lavori, il restauro è stato effettuato con la serietà e la responsabilità che l’opera esigeva. Lo affermano le restauratrici che nella loro relazione dichiarano che non tutti gli interventi possibili sono stati eseguiti, per salvaguardare la tela da rischi di danneggiamento, dovendosi eventualmente smontare o modificare alcune parti dell’opera. Scrivono: «Ci si augura che la presente documentazione tecnica di restauro possa essere tramandata ai posteri e costituire un utile riferimento per i successivi interventi di conservazione».