Le ordinazioni di quattro giovani guanelliani nelle Filippine e in Vietnam, testimonianza del carisma vivo di don Guanella

di don Francesco Sposato

Per un dono inaspettato della Provvidenza ho avuto la gioia di viaggiare a Quezon City – Manila (Filippine) per prendere parte, il 24 marzo scorso, alla professione perpetua e ordinazione diaconale del guanelliano filippino Harry Indonilla, e il 25 marzo, solennità dell’Incarnazione del Signore, alle ordinazioni presbiterali dei diaconi guanelliani Michael D. Adlaon (filippino), Peter Nguyen Van Dien (vietnamita), Paul Nguyen Van Dao (vietnamita).

Vescovo ordinante è stato monsignor Elias L. Ayuban, vescovo di Cubao, amico dell’Opera Don Guanella, la cui diocesi abbraccia un solo quartiere di Quezon City, città che a sua volta rientra nell’area metropolitana di Manila. Un europeo, solo quando può vivere qualche tempo in questi enormi agglomerati, si rende conto della concentrazione impensabile di abitanti e del moltiplicarsi dei problemi di ogni genere.

La cerimonia di ordinazione si è svolta presso la parrocchia di San Isidro Labrador, Tandang Sora. Oltre ai religiosi e alle suore dell’Opera Don Guanella e ai familiari dei candidati, non hanno voluto far mancare la loro presenza molti fedeli e amici, che in questa terra dell’Estremo Oriente si avvantaggiano del bene che i Guanelliani operano ogni giorno a favore dei poveri.

Se dovessi fare un breve bilancio della mia visita nelle Filippine e in Vietnam, non esiterei a mettere al primo posto la gioia che ho provato nel constatare la gratitudine e la riconoscenza di tanta gente per la missione che i confratelli guanelliani operano in quelle terre. Attraverso l’Opera Don Guanella si manifesta, in luoghi tanto lontani e diversi da noi, un segno tangibile della Provvidenza di Dio, la quale non viene incontro unicamente a richieste di aiuto e di sostegno materiale, ma a chi rimane indietro nella vita offre la possibilità di sentirsi amato e reso protagonista della propria esistenza, come frutto tangibile di quella carità che per primo Cristo ci ha mostrato.

Permettete dunque che io mi senta orgoglioso di quanto ho visto. Sono convinto che le opere di bene, quando vengono fatte bene, è doveroso farle conoscere, anche perché oggi ci sentiamo più spinti a lasciarci condizionare dal male che sembra avere la meglio sul bene. Il bene esiste ancora, anche se molto spesso non fa rumore!

Altro elemento che mi sembra giusto far emergere da questo mio viaggio è il senso di accoglienza e di ospitalità, che mi è stato manifestato non solo da parte dei Guanelliani nelle comunità da me visitate. Sono stato testimone anche della straordinaria affabilità dei familiari del diacono Harry Indonilla, come pure dei parenti dei tre sacerdoti novelli e della numerosa gente incontrata in questo viaggio. Ovunque andavo, mi sentivo a casa, anzi per loro rappresentavo una benedizione del Signore. Chiunque mi incontrava, desiderava avermi, anche solo per pochi minuti, in casa propria, dove insieme recitavamo una preghiera e invocavamo la benedizione del Signore. Queste straordinarie manifestazioni di cordialità mi venivano offerte nella parte di abitazione che è riservata all’accoglienza degli ospiti e che si trova all’entrata di ogni casa, dove la famiglia ha il Crocifisso insieme alle statue della Madonna e dei Santi (di solito di grandi dimensioni), oltre che le fotografie dei propri familiari defunti.

Un’altra cosa che mi ha riempito il cuore di speranza è stata il vedere una folta partecipazione di popolo alle celebrazioni liturgiche e in particolare alla santa Messa. Le chiese sono strapiene di popolo santo di Dio, soprattutto in Vietnam. Uomini e donne; bambini, giovani e meno giovani: tutti si trovano radunati attorno all’altare per celebrare l’Eucarestia. Anche al mattino presto (le 5 del mattino) vi era una presenza massiccia dei fedeli per qualsiasi Messa feriale. Semplicità, partecipazione, fede viva: ecco le caratteristiche che tengono uniti i cristiani, soprattutto i più poveri, senza mai perdere la speranza nel Signore Gesù. Ho toccato con mano come sia proprio vero: Cristo è speranza che non delude!

In un tempo in cui sembra prevalere lo scoraggiamento e l’incertezza e dove sembrano mancare punti di riferimento sicuri, perché il male sembra avere la meglio sul bene, si costruisce la vita cristiana in quelle terre, così lontane geograficamente da Roma e anche così diverse tra loro,  ma che offrono buoni “frutti di speranza” e che contribuiscono a realizzare il sogno di Gesù: formare una sola famiglia, unita nell’amore di Dio e stretta nel vincolo della carità, della condivisione e della fraternità.

L’invito del compianto papa Francesco a non perdere la speranza, a restare fondati sui doni di grazia, che in questo caso sono stati i quattro giovani che hanno offerto la propria vita al Signore nella missione guanelliana, rimane molto attuale anche per tutta l’Opera Don Guanella e ci apre davanti una strada di futuro, affinché la carità di Cristo possa continuare a toccare i cuori della gente, spesso imprigionata dalla rassegnazione e dal pessimismo.

Certamente non manca, anche in quelle terre tanto generose, la tentazione di adagiarsi e fermarsi unicamente all’esteriorità di un rito, a discapito della autenticità e fedeltà al Vangelo. La tentazione può manifestarsi nel desiderio di avere una chiesa più bella e più grande del vicino, e di dimenticare invece l’annuncio del Vangelo con la propria vita, con lo stare in mezzo alla gente, con l’accompagnare le persone unendo fede a carità. Occorre tenere sempre viva l’attenzione a che l’amore per Cristo, che ci conduce al servizio di chi rimane indietro nella vita, non si riduca solo a ottima teoria, ma diventi buona prassi, che sappia incarnare, in questo come in ogni altro tempo, la bellezza e la gioia di seguire Cristo come Servi della Carità. Questa è l’unico motivo che può rendere la lontananza di quei luoghi remoti un solo fatto di geografia, ma non di cuore, perché nelle Filippine o nel Vietnam, ugualmente che in Italia, Dio Padre ogni giorno risponde per mezzo nostro alla richiesta di chi implora, come l’infermo del Vangelo alla piscina di Betsada: «Io non ho nessuno».